TENDA DEL MONASTERO DI MARANGO: SPIRITUALITA’ E IMPEGNO CIVILE

Il Monastero di Marango è il cuore del presidio, dove si custodisce, si medita e si prega l’enciclica. Fulcro da cui parte poi l’agire nella quotidianità.

Abbiamo fatto alcune domande a don Giorgio Scatto, priore della comunità di Marango.

Cosa ti ha colpito nell’idea di costruire un presidio per la Laudato si’? 

Più di trent’anni fa, esattamente nel 1984, ho iniziato la mia esperienza monastica a Marango, in una realtà non solo di periferia, ma anche ampiamente segnata dall’abbandono e dal degrado. Allora ero da solo. Mi trovavo spesso a pensare a Venezia e alla sua indicibile bellezza: all’inizio c’erano solo degli isolotti che avevano dato ospitalità a dei profughi. Con il lavoro, l’intelligenza, il genio, quei luoghi abbandonati si erano rivestiti di bellezza, di fascino, di poesia. L’uomo aveva deviato il corso dei fiumi, spingendoli fuori dalla laguna, aveva bonificato paludi, rendendole terra fertile, aveva costruito la città più bella del mondo. Da allora mi ha sempre sostenuto la convinzione che anche luoghi abbandonati e miseri potevano diventare altro, potevano assurgere a valore di simbolo, potevano essere interpretati come luoghi abitati dall’amore. Negli anni, mentre cresceva anche la comunità, ho investito energie e risorse non solo per la bellezza degli ambienti, pur tuttavia sobri ed essenziali, ma soprattutto per riconoscere dignità a persone che altrimenti sarebbero state considerate come “pietre di scarto”. Per noi queste pietre sono diventate le più importanti e preziose di tutte. Per tutto questo, la proposta di costruire a Marango un presidio per la Laudato si’ mi ha trovato pienamente disponibile, assieme a tutta la mia comunità: abbiamo una storia da raccontare e una strada ancora molto lunga da percorrere. Ed è molto bello percorrere questa strada con tante persone unite dallo stesso amore per la casa comune.

Come il monastero intende declinare il proprio impegno?

Il monastero intende essere anzitutto un luogo dove si custodiscono e si coltivano, come semi preziosi, tutte le parole importanti, quelle della Scrittura, quelle della sapienza umana, quelle del magistero, quelle dell’amicizia. Anche il grido e il dolore dell’uomo va ascoltato e custodito, perché germogli e fruttifichi in una promessa di bene. Leggere e meditare assieme ad altri l’enciclica è custodirne la memoria, perché non cada nell’oblìo; continuare nell’impegno per una “ecologia umana”; porre dei segni profetici – suggeriti anche dal nostro incontrarci – nell’ambiente nel quale ci è dato da vivere; combattere e denunciare ogni segno di degrado e di sfruttamento dell’ambiente. Non si tratta solo di una buona gestione dell’esistente, ma di progettare il futuro. E questo è un compito che ci affascina.

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